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La Lira Calabrese, un’intervista con il Bovese, Francesco Siviglia

Scritto da il 4 Maggio 2022

FONTE: Magna Graecia News

Franco Siviglia: nasce a melito porto salvo (rc) il 07-10-67 come tutti faccio le scuole dell’obbligo, elementare e media fino a studiare fino al 3° anno di agraria già a 15 anni appassionato di musica etnica ed innamorato degli strumenti tradizionali – tamburello – zampogna – pipita ed organetto, nello stesso periodo lavoro in falegnameria ed imparo le varie arti di restauro intarsio ebanista, cosi nel corso degli anni acquisto sempre più maestranza. nel 1998 apro la mia prima attività di falegnameria lavorando con progetti importanti. nel 2008 in un festival dell’area grecanica sento per la prima volta un suono molto particolare che mi entra nell’animo. mi informo cos’era da un amico musicologo ed ricercatore ettore castagna è mi informa che è un strumento bizantino molto antico ed è stato importato in calabria nel 600 dc. stiamo parlando della lira calabrese.

 

Spiegaci  il tuo mestiere con la lira.

.: io già da subito ne rimango folgorato da cominciare a fare il mio primo strumento. subito comincio ad intervenire a stage di lira calabrese ed imparare a suonare questo strumento nel 2009 vado a cremona in una scuola di liuteria mi stabilisco qui circa 8 mesi dove imparo le varie arti di liuteria, poi finito il corso faccio ritorno nella mia cittadina d’origine e comincio ad costruire questo meraviglioso strumento senza mai fermami. ogni 2 anni impartisco dei corsi di apprendimento per acquisirne informazioni come scostruisce questo strumento .
nel 2014 organizzo il primo festival sulla lira calabrese il suo nome attuale di questo festival è euterpe lira festival oltre alla invenzione di questo festival ho la direzione artistica nel 2015 fondiamo una nuova associazione chiamata “area grecanica in tour” la quale si occupa principalmente del festival che ho creato ma amche di cultura turismo ecc.ecc
il festival si svolge nella 2° settimana di luglio.
i miei strumenti sono esposti in 3 musei dell’area grecanica in bova [r c] bova marina [r c] galliciano [r c) e nel museo dei peloritani nella cittadina di gesso (me) in sicilia nel maggio 2018 partecipo al fim di milano spesso la mia arte viene apprezzata dagli amministratori locali ho dalle varie associazioni dove mi invitano a fare delle mostre oppure nelle varie fiere artigianali in tutta italia in campania puglia ed calabria. oltre all’ euterpe lira festival vengo chiamato per altre manifestazioni dove io ho il ruolo di
direttore artistico.

 

Quali sono le origini della lira calabrese?

La Lira Calabrese è arrivata in Calabria nel periodo cosiddetto “Bizantino”. Cosiddetto perchè Loro si definivano Romani d’Oriente, ovvero Romei. Non si erano mai chiamati così. Il termine “bizantino” venne coniato nel XVI secolo da un letterato francese e quindi i Romei oltre a lasciare tracce indelebili nella Spiritualità dei Calabresi e a costruire strutture solide che sfidano i millenni, i
maldestri restauratori ci lasciarono anche la lira calabrese parente stretta di quella cretese e di quelle del mondo balcanico.
La lira calabrese appartiene alla famiglia dei cordofoni. Un tempo questo strumento era diffuso in tutta la Calabria, mentre nel XX
secolo la sua diffusione si restrinse nell’area del Monte Poro e sulla costa Jonica, da Gerace a Gioiosa Jonica.
Il suo repertorio comprendeva canzoni e tarantelle. Veniva accompagnata con tamburelli, fischietti, chitarra battente e anche con cerameddha e pipita.Il repertorio musicale oggi si allarga dalla musica classica ad quella tradizionale.
Suonatori famosi che hanno dato nome a tante sonate a cui tuttora si ispirano tanti suonatori attuali sono:
Francesco Staltari, Domenico Tropea, Francesco Trimboli, Giuseppe Fragomeni. Da ricordare sempre, poiché loro sono i veri autori del vanto altrui. Come dicevo prima, dagli anni Sessanta del secolo scorso questo strumento sembrava destinato a perdersi per consunzione, ma poi con l’entusiasmo di tanti giovani a metà degli anni Ottanta, molti di loro apprenderono e suonarono e in questo modo si formarono anche dei nuovi costruttori. Francesco Siviglia è uno di questi.
Ha avuto passione per questo strumento, ha imparato a suonarlo e a costruirlo.
Per costruire lo strumento ci mette l’anima e lo rende “vivo” a ciocchi di legno debitamente stagionati.
Questi possono essere legno di acacia, cipresso, sorbo, sambuco, nespolo, ciliegio e anche altri alberi da frutto, con una particolare attenzione alla specie selvatica dove il suono diventa più dolce.
Per dare anima al legno lo si lavora a mano usando strumenti semplici: raspa, coltello e sega. Il tempo necessario per la costruzione dello strumento varia da una a due settimane, in base al legno e dall’umore del Maestro.
La lira si suona stando seduti tenendola con la mano sinistra sulle ginocchia mentre con la destra si regge l’arco.

 

 

Come vedete il futuro della musica tradizionale nella vostra regione?

La musica popolare calabrese, affonda le sue profonde radici nelle secolari tradizioni regionali. Accompagna tutti i momenti della nostra vita: matrimoni, battesimi, compleanni etc. Insomma, ogni occasione è buona per ballare e divertirsi. La tarantella si può eseguire in coppia (uomo-donna, uomo-uomo e, anche se raramente, donna-donna) attorniati da un cerchio di persone definito “rota“. I suonatori sono posizionati all’esterno della rota. In alcune zone della Calabria, come alcuni paesi del vibonese, la danza, fino ad alcuni decenni fa, era riservata soltanto agli uomini.
Le danze tradizionali calabresi, sono ricche di simbologie. La principale, è quella del corteggiamento tra uomo e donna. Nella tarantella mista l’uomo, ad esempio, cerca di raggiungere le spalle della donna che, a sua volta, cercherà di farlo avvicinare muovendole ma senza mai girarsi. La danza, può essere interrotta dal maestro di ballo che simboleggia il capo della comunità. (Spesso, in passato, lo era davvero). Nessuno può disobbedire alle sue disposizioni e, nel passato, l’interruzione di un ballo a due, a volte richiesta dai familiari della donna, indicava un parere non favorevole all’unione.

 

Che simbolizza per lei la Magna Grecia?

La Calabria è universalmente riconosciuta come il cuore della Magna Grecia, identificando con questa espressione quella importantissima fase di colonizzazione greca del Meridione d’Italia iniziata nel VIII secolo a.C. Le città greche, perlopiù in maniera indipendente l’una dalle altre, cercavano in quel periodo nuove terre da occupare, sia per sfuggire alle tante frizioni politiche interne che per migliorare le proprie attività economiche basate sulle produzioni agricole e sui commerci. Il Sud Italia e la Calabria in particolare risultarono ideali per questi scopi grazie al clima mite, all’abbondanza d’acqua ed alla conformazione peninsulare del territorio che permetteva agevoli spostamenti via mare. I Greci non furono certo i primi a colonizzare la Calabria, ma le loro colonie erano completamente diverse da quelle precedenti: i Greci non creavano anonimi depositi di merci, lasciandovi qualche soldato di guardia, ma si stabilivano nelle nuove terre, dando vita a centri urbani secondo il loro uso e che non si erano mai conosciuti
prima in Italia. Le colonie greche conobbero uno sviluppo così rapido che non solo eguagliarono, ma addirittura superarono la Madrepatria per cultura e ricchezza, guadagnandosi appunto l’appellativo di “Magna Grecia”.

 

Avete rapporti con Grecia ed i Greci?

Si, faccio una descrizione importante Bova conserva una storia antichissima. Le origini di Bova sono legate ad una leggendaria regina greca, Oichista, che impresse l’impronta del suo piede sul punto più alto della rocca sovrastante il borgo.
Le antiche origini della città di Bova (Vua) sono testimoniate dai numerosi ritrovamenti archeologici rinvenuti in prossimità del Castello Normanno risalenti al periodo Neolitico, anche se le prime testimonianze storicamente documentate sull’esistenza di Bova risalgono ai primi anni del secondo millennio, quando tra il 1040 ed il 1064 i Normanni si imposero su Arabi e Bizantini nella dominazione della Sicilia e della Calabria.

 

LA STORIA
Bova è il centro dell’ellenofonia, non a caso si parla di Bovesìa per indicare l’Area Grecanica.
Abitata ininterrottamente dal Neolitico, la rocca di Bova fu probabilmente una fortezza magno greca posta sul confine delle poleis di Reggio e Locri. Grazie alla sua posizione strategica, il sito fu molto verosimilmente scelto come rifugio dagli abitanti della costa, dopo che alla fine del VI sec. d.C. orde barbariche, probabilmente longobarde, incendiarono la statio romana di Scyle, identificata in contrada San Pasquale nel comune di Bova Marina. Come gran parte dei centri storici della Calabria Meridionale la rocca di Bova fu fortificata durante le incursioni saracene per diventare sede diocesana, forse, già intorno al X secolo. Conquistata dai Normanni, fu infeudata a Guglielmo al tempo in cui la sede vescovile era retta da Luca (1095 -1140), divenuto santo dopo essere stato il mediatore tra la chiesa latina e i fedeli greci di tutto il reggino meridionale. Nel 1162 la diocesi fu data in feudo all’arcivescovo di Reggio per rimanervi fino al 1806. Fino al 1572, la sede diocesana di Bova mantenne vivo il rito liturgico greco-bizantino, abolito a seguito delle norme Tridentine, dal vescovo armeno Giulio Stavriano. Bova fu quindi una delle ultime diocesi italiane ad essere latinizzate dalla chiesa cattolica, il cui potere si consolidò solo nel corso del XVII secolo, periodo a cui risale la grande maggioranza del patrimonio architettonico conservatosi nella cittadina grecanica. Bova, infatti, mantiene intatto il suo assetto urbano medievale ingentilito da edifici tardo barocchi e monumentali palazzi Settecenteschi. Di particolare rilievo sono infatti le facciate della chiesa di San Leo, del 1606, quella di San Rocco e dello Spirito Santo, rispettivamente del 1622 e del 1631. Degne di nota sono ancora il portale della
navata laterale della concattedrale dell’Isodia, della fine del Seicento nonché le delicate facciate della chiesa del Carmine e  dell’Immacolata, databili al secolo successivo. Nella gran parte degli edifici di culto è possibile ammirare pregevoli sculture tardo cinquecentesche, quali ad esempio la Madonna dell’Isodia, autografa di Rinaldo Bonanno (1584), la Madonna con Bambino (1590), oggi nella chiesa di San Caterina, attribuita alla scuola del Bonanno, e della scultura di San Leo (1582), nel santuario omonimo, la cui paternità è ancora incerta.

 

SCOPRIRE IL CENTRO STORICO

La Chòra è posta a 820 metri s.l.m. L’arrivo a Bova lascia tutti di stucco. Nello slargo antistante la piazza principale, si eleva a simbolo dell’emigrazione, una locomotiva 740 Ansaldo Breda, del 1911, la vaporiera più rappresentativa delle Ferrovie dello Stato. Poco distante, lo sguardo cade sull’imponente Palazzo dei Nesci Sant’Agata, con il suo arco merlato, costruito nel 1822. Sulla piazza principale si staglia il Municipio, costruito nei primi del Novecento sulle fondamenta di Palazzo Marzano, del quale rimane solo l’adiacente cappella di famiglia, dedicata all’Immacolata, attualmente adibita ad ufficio turistico. Alle spalle si erge il santuario di San Leo, patrono del borgo: San Leo, monaco italo greco, vissuto nel XII secolo nei pressi di Africo Vecchio.

Le sue reliquie sono custodite in urna in argento, commissionata a Napoli nel 1855, da Antonino Marzano. La cassa in argento è sovrastata da un bellissimo busto in argento raffigurante il santo, realizzato da un argentiere messinese nel 1635. Sull’Altare, consacrato nel 1755, si colloca la statua in marmo di San Leo, reggente in mano una scure e una palla di pece, attributi iconografici che ricordano il suo lavoro di picaro svolto a scopi caritatevoli. Realizzata nel 1582, è considerata il capolavoro di Rinaldo Bonanno anche se alcuni non escludono una partecipazione del padre di Gian Lorenzo Bernini: Pietro. Secondo altre ipotesi la scultura si deve invece a Michelangelo Naccherino, artista fiorentino, attivo nel Regno di Napoli nella seconda metà del Cinquecento. Alle spalle della chiesa si trova una delle Porte del Parco Nazionale dell’Aspromonte, all’interno del quale un originale allestimento regala una suggestiva sintesi della cultura tradizionale grecanica.

Proseguendo lungo mille gradinate si giunge alla rocca che domina il paese, a 950 metri d’altitudine. Antico forte d’età bizantina, fu ristrutturato in età Normanna e Angioina, periodo a cui si possono oggi attribuire i pochi resti superstiti delle murature perimetrali. Ai piedi della fortezza s’innalza dell’Isodia, titolo bizantino della Madonna presentata da Sant’Anna al Tempio. Nel 1572, in questa chiesa il vescovo cipriota, Giulio Stavriano, abolì il rito bizantino, decretando la compiuta latinizzazione dell’estremo Sud della Penisola.

Seguendo il profilo delle rupi che abbracciano Bova si scorge l’ultima delle torri che dal tempo degli Angiò (XIII-XIV sec.) cingono la città. Il quartiere denominato Pirgoli, (in greco torri) era un tempo la giudecca di Bova. La sua porta meridionale venne inclusa nell’arco che unì le due ali del Palazzo dei Mesiano Mazzacuva, ricostruito dopo il terremoto del 1783.

Interessante è anche la chiesa di San Rocco, edificata, all’ingresso antico del paese, dopo la peste che colpì il borgo nel 1577. L’edificio terminato probabilmente nel 1622, anno in cui un’iscrizione ricorda realizzato il portale principale, conserva al suo interno la statua lignea ottocentesca di San Rocco. Il borgo ospita inoltre due importanti musei: il Museo della Lingua Grecanica dedicato a Gerhard Rohlfs, noto linguista tedesco che rese nota al mondo intero le antiche origini di questo idioma, e il Museo Civico di Paleontologia e Scienze Naturali dell’Aspromonte, entrambi siti all’ingresso della cittadina. Nell’antico quartiere Rao, nelle vicinanze della Piazza comunale si trova invece il Museo all’aperto della Civiltà Contadina, inaugurato solo di recente grazie al contributo di Saverio Micheletta, emigrato bovese che ha voluto immortalare i ricordi della sua infanzia attraverso cimeli della vita agropastorale della sua terra.

 

TRADIZIONI E ARTIGIANATO

Bova è uno dei pochi paesi nel quale ancora permangono antichissimi usi e costumi. L’artigianato ha radici davvero lontane e qui una delle sue massime espressioni è la tessitura popolare. Lana, lino, cotone e ginestra fornivano alle tessitrici gli elementi ricavati in maniera naturale, che poi venivano lavorati con il telaio a mano per produrre tessuti che, cuciti a gruppi di tre, formavano le coperte vutane. I disegni più comuni risalgono proprio all’epoca bizantina: il “mattunarico”, il “telizio”, la “greca”, il “greco”, le “muddare”.
L’altro versante artigianale storico del luogo è quello della lavorazione del legno. Originariamente gli oggetti in legno finemente intarsiati erano frutto del lavoro dei pastori: telai, stampi per dolci (plumia), cucchiai (mistre) e soprattutto le musulupare, stampi per l’antico formaggio aspromontano “musulupu”.

 

GASTRONOMIA

La cucina locale richiama i sapori e i colori di quella squisitamente mediterranea, ma la sua origine è decisamente grecanica. Caratterizzata dagli elementi della tradizione agro-pastorale, la cucina ha alla sua base latte di capra, pomodoro, olio
di oliva, che costituiscono gli ingredienti di prelibatezze come i maccarruni cu sucu da crapa, i cordeddi al sugo, i tagghiarini con i ceci, i ricchi di previti con il pomodoro, la carne di capra alla vutana. Molto ricercati da queste parti i salumi (salsiccia, capocollo, soppressata), i formaggi, tra cui le ricotte e i musulupi (un formaggio fresco che si consuma nel periodo pasquale) e i dolci della festività, come i pretali della tradizione natalizia, le ‘nghute della tradizione pasquale, le scaddateddi, ciambelle con il buco e semi di cumino. Da gustare anche la lestopitta, una frittella di farina e acqua, fritta nell’olio da mangiare calda.